Fotocronografo sismico Cancani - 1890


* La bibliografia non intende essere esaustiva, ma contiene tutti i riferimenti bibliografici associati a questo strumento nella banca dati di TROMOS.

Negli ultimi anni del secolo scorso i progressi della sismologia resero manifesta la necessità di determinare con esattezza l'ora in cui veniva registrato un terremoto. Agli studiosi apparve evidente che solo la precisa misurazione del tempo permetteva di studiare la propagazione delle onde sismiche mediante il confronto delle registrazioni di più stazioni.

Nel 1890 Adolfo Cancani pensò di fermare l'istante di arrivo di una scossa mediante l'immagine fotografica automatica di un cronometro di marina di andamento noto. Portò a termine il suo non facile progetto ideando uno strumento abbastanza semplice che poteva venire collegato ad uno o più apparecchi sismici dal funzionamento elettrico. Spronato dal De Rossi lo pose quindi in esperimento all'Osservatorio Geodinamico di Rocca di Papa (Cancani A., 140390).

Il fotocronografo sismico si componeva di due parti: una camera oscura entro la quale veniva impressionata la lastra fotografica, ed un dispositivo destinato a produrre l'accensione istantanea di una lampadina.

La camera oscura era costituita da una cassa rettangolare di legno AB con altezza di 90 cm. e base di cm. 30x40. Sul fondo mobile della cassa era posta una scatola C contenente un cronometro di marina molto preciso. Il coperchio della scatola, aperto ad angolo retto, accoglieva la lastra fotografica di cm. 6x8 che doveva ricevere l'immagine del cronometro stesso. All'interno della camera oscura, il posizione più elevata, veniva collocata una lente L destinata a riflettere l'immagine sulla lastra all'accendersi, per un breve istante, di una vicina lampadina ad incandescenza E.

La seconda parte dell'apparecchio era formata da un largo piano con una colonna sulla quale era bilicata una leva MN di primo genere di 60 centimetri, col fulcro O a due terzi della lunghezza. All'estremo del braccio corto M era sospesa una piastra mobile di ferro sulla quale venivano posti nove vasi di vetro V-V' contenenti una soluzione di bicromato di potassio. Sopra l'imboccatura dei vasi, senza toccare la soluzione, ad apparecchio in stato di riposo, erano fissate delle bacchette di zinco e di carbone a formare i poli di una pila che generava corrente quando le bacchette si immergevano nella soluzione. La pila, collegata mediante una spirale di filo elettrico G-G'-G"-G'", forniva energia alla lampadina della camera oscura. L'estremità del braccio lungo N della leva, a dispositivo inattivo ma pronto ad agire, riposava sull'ancora D di una elettrocalamita F collegata in serie al circuito di uno strumento sismico. Lungo questo braccio erano attaccati due pesi P' e P" liberi di sganciarsi all'abbassarsi del braccio ed un terzo peso P fisso e calibrato in modo da non poter da solo mantenere sbilanciata la leva. Dei due pesi mobili uno solo gravava direttamente sul braccio, mentre il secondo era sostenuto dal lembo a saracinesca di un tavolino T.

Al sopraggiungere di una scossa lo strumento collegato chiudeva il circuito dell'elettrocalamita attirando l'ancora. Il braccio lungo della leva, liberato, si abbassava sollevando i vasi attaccati all'estremo opposto. Lo zinco ed il carbone si immergevano perciò nella soluzione di bicromato di potassio attivando la pila. La corrente generata accendeva la lampadina che impressionava la lastra fotografica con l'immagine del cronometro. L'ora esatta della scossa restava così fissata.

Nello stesso istante il pesetto libero P' scivolava dalla leva, ed essendo il solo peso fisso P insufficiente a mantenere abbassato il braccio, questo si rialzava disattivando la pila. In questo modo il lampo di luce aveva la durata di un quarto di secondo soltanto. Il contraccolpo provocato dal ritorno della leva faceva sollevare di pochi millimetri il peso mobile P" dal tavolino T sul quale era posato. Il piano scorrevole a saracinesca di quest'ultimo veniva tirato indietro da un contrappeso K ed il pesetto veniva a gravare sul braccio della leva come faceva quello sganciatosi. Il dispositivo era così pronto per l'arrivo di una eventuale seconda scossa. In tal caso la lastra riceveva una seconda immagine sovrapposta alla prima senza che i due orari potessero confondersi.

Il coperchio della scatola C contenente il cronometro veniva alzato od abbassato dall'esterno mediante due cordoncini. A coperchio abbassato la lastra sensibile restava chiusa e la camera oscura poteva venire sollevata in toto dal fondo mobile per mezzo di due maniglie esterne, questo permetteva di estrarre il cronometro per regolarlo e ricaricarlo (Cancani A., 140390).

Nel 1891 venne impiantato l'Osservatorio Geodinamico di Catania nel sotterraneo dell'ex convento dei Benedettini, il cui corredo scientifico comprendeva anche un fotocronografo. Questo venne collocato accanto al pilastro sismico sul quale si trovavano dieci diversi sismoscopi collegati tutti in uno stesso circuito, cosicché lo scattare di uno solo di essi era in grado di animare l'elettrocalamita e mettere in funzione l'apparecchiatura fotografica (Riccò A., 140493).





Bibliografia

Cancani A.
Fotocronografo sismico, in "Annali dell'Ufficio Centrale Meteorologico e Geodinamico Italiano", S.II, Vol.XII, P.I, (1890), pp.68-71.
Roma 1893

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Notizie storiche e descrittive dei RR. Osservatori di Catania e dell'Etna fino a tutto il 1899, in "Annuario della R. Universita' di Catania 1899-1900", pp.1-16.
Catania 1900

Riccò A.
Gli osservatori di Catania e dell'Etna, in "Memorie della Società degli Spettroscopisti Italiani", Vol.XXVI, (1897), pp.1-29.
Catania 1897

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(Last update on: 26/04/00)